Le infezioni correlate all'assistenza (ICA): una sfida sanitaria e legale
Infezioni correlate all’assistenza (ICA): tra prevenzione, responsabilità e diritto al risarcimento

Le infezioni correlate all’assistenza (ICA), note anche come infezioni nosocomiali, rappresentano una delle principali criticità per i sistemi sanitari moderni. Si sviluppano durante o in seguito a un ricovero ospedaliero o a un trattamento sanitario, e non sono presenti né in incubazione al momento dell’ingresso del paziente nella struttura.
Secondo i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), ogni anno in Europa si registrano oltre 4 milioni di casi di ICA, con un impatto diretto su morbilità, mortalità e costi sanitari. In Italia, si stima che le ICA colpiscano tra il 5% e l’8% dei pazienti ricoverati, con circa 11.000 decessi annui attribuibili a queste infezioni.
Una questione di prevenzione (prima di tutto)
Le ICA sono in larga parte evitabili. La loro prevenzione passa attraverso misure semplici ma rigorose: igiene delle mani, sanificazione degli ambienti, corretta gestione di dispositivi medici invasivi (come cateteri e ventilatori), protocolli antibiotici mirati e una formazione continua del personale sanitario.
Tuttavia, in molte strutture sanitarie italiane la prevenzione resta insufficiente. Manca personale, si sottovaluta l’impatto delle infezioni, e spesso i protocolli di controllo non vengono aggiornati o applicati in modo sistematico. Questo non solo aumenta i rischi per i pazienti, ma apre anche a gravi responsabilità giuridiche.
La responsabilità delle strutture sanitarie
Il tema della responsabilità medica è centrale nel dibattito sulle ICA. Già da anni la giurisprudenza italiana ha chiarito un punto fondamentale: in caso di infezione contratta in ospedale, è la struttura sanitaria a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure preventive necessarie.
Questo principio, noto come “inversione dell’onere della prova”, è stato ribadito più volte dalla Corte di Cassazione. Significa che se un paziente sviluppa un’infezione nosocomiale, non è lui a dover dimostrare la negligenza dell’ospedale, ma è la struttura a dover provare di aver agito correttamente.
In mancanza di prove sufficienti, la struttura è ritenuta responsabile e tenuta a risarcire i danni subiti dal paziente. I risarcimenti possono includere spese mediche, danni morali, danni da invalidità temporanea o permanente e, in caso di decesso, il danno da perdita del rapporto parentale.
Verso un sistema più equo e sicuro
Il dibattito tenutosi a Firenze, promosso dalla Fondazione Italia in Salute, ha sottolineato l’urgenza di un approccio sistemico: prevenzione, responsabilizzazione e giustizia devono marciare insieme. Non si tratta solo di evitare il contenzioso, ma di migliorare l’intero ecosistema della salute pubblica.
Tra le proposte più concrete: l’adozione di un sistema nazionale di sorveglianza attiva delle ICA, l’obbligo di audit interni periodici, la trasparenza sui dati di incidenza delle infezioni nelle strutture e, soprattutto, un fondo nazionale per l’equo risarcimento delle vittime, sul modello francese.
Conclusione
Le infezioni correlate all’assistenza non sono “eventi sfortunati”, ma conseguenze spesso prevenibili di carenze organizzative, gestionali e strutturali. Riconoscerle come tali è il primo passo per una sanità più giusta e sicura. Una sanità che protegga i pazienti, tuteli i professionisti e assuma fino in fondo la responsabilità di ciò che accade all’interno delle sue mura.






